Il mondo occidentale si è sempre posto il problema degli effetti che il potere può avere su chi detiene il potere. I romani crearono una repubblica con all’esecutivo due consoli eletti annualmente e con potere di veto, gli inglesi imposero sul potere del sovrano una carta dei diritti, e i padri fondatori americani limitarono costituzionalmente il potere del presidente con un sistema di bilanciamento e controlli da parte del congresso e della corte suprema. Tutto questo avvenne affinché il potere sia sotto il controllo di diversi organismi, i governanti siano ciclicamente sostituiti, e gli eccessi di autoritarismo vengano evitati. Il secolo scorso ha tristemente assistito al potere esercitato da alcuni fra i più assolutistici dittatori della storia umana, sui quali gli storici hanno tentato, e tuttora tentano, non semplicemente di analizzare l’operato, ma anche di tracciare un quadro psicologico. Ovviamente Hitler spicca fra i tanti per la sua personalità folle e imprevedibile, per le sue scelte scellerate, e per la testardaggine di perseguire nell’errore.
Evitando di incomodare il Fuehrer per l’ennesima volta, un caso significativo lo offre l’altro baffo del Novecento le cui azioni furono oltre che similmente brutali, anche prive di senso. Giuseppe Stalin si convinse che il gulag potesse non semplicemente essere il luogo di detenzione dei nemici della rivoluzione (Veri o presunti tali) ma che i campi di lavoro dovessero anche fruttare economicamente ed essere una delle colonne dell’economia sovietica. Nel suo preciso e documentato lavoro sui Gulag, Anne Applebaum sostiene che già dai primi anni Trenta il Cremlino disponeva di sufficiente documentazione che chiaramente confutava le tesi di Stalin: I Gulag non solo non producevano ricchezza, ma per sopravvivere richiedevano ingenti risorse che uno stato come quello sovietico, impoverito e retrogrado, non poteva permettersi.
Nessuno osò farglielo presente, essendosi il dittatore georgiano circondato di collaboratori totalmente succubi e terrorizzati dal suo potere e ferocia. Eppure, riesce difficile immaginare che Stalin non sapesse del reale andamento dei gulag e del costo che gravava sullo stato, essendo lui a gestirne le ricchezze. È più probabile che sapesse, anche con dovizia di dettagli, della situazione da lui creata ma che nonostante ciò non volesse modificare le sue decisioni. Quale era il costo di questo progetto? Quali erano i pensieri di Stalin sui milioni di innocenti arrestati e fatti morire in Siberia? Lo storico Stephen Kotkin prova a dare una risposta a questo quesito, asserendo che in tutta la voluminosa documentazione su Stalin non esiste alcun indizio che possa far pensare a delle remore morali del dittatore.
Stalin viveva fondamentalmente isolato, lontano dal mondo che spietatamente governava, con la complicità di persone costantemente impaurite, impossibilitate e porre un freno alla sua atroce follia. Sempre la triste storia del Novecento ci insegna che questo non fu un caso isolato, ma tutti i grandi dittatori passarono gli anni del loro assoluto potere in simili condizioni, chiusi nei loro sogni di gloria dopo aver perduto completamente il senso della realtà. Insomma, quanto accadde con Stalin accadde con Mussolini, che si imbarcò in una guerra che non poteva vincere, ai militari giapponesi che fecero lo stesso grossolano ed inspiegabile errore, e a Mao il quale credette che inesperti contadini potessero produrre acciaio in delle fornaci da campo. La realtà non era la preoccupazione primaria di queste menti, che mai si curarono di come le loro decisioni ricadessero sui popoli.
“O la Germania dominerà il mondo, oppure non ci sarà nessuna Germania” diceva Hitler, incurante del desiderio di 65 milioni di tedeschi di rimanere in vita. “Per la rivoluzione sono pronto a sacrificare centinaia di milioni di cittadini” dichiarava Lenin, impassibile di fronte alla mostruosità del pensiero appena espresso.
In questi ultimi giorni ho guardato con grande attenzione Putin e ho visto nei suoi comportamenti tanti indizi che riconducono a un dittatore allo stato ultimo del suo potere, isolato a tal punto da rimanere fisicamente distante dai suoi stessi uomini, divertito nel terrorizzare un suo uomo di fiducia di fronte alle telecamere e ai media del mondo. Credo sia impossibile sapere cosa passi nella sua testa, ma non posso evitare di pensare che qualunque sia il suo progetto, il capo della Russia non stia prendendo in considerazione le conseguenze che le sue azioni avranno sui popoli del Mondo.